Visibile/Invisibile


La modulazione divisibilità nel pensiero nell’opera di Renato Pengo si presenta come una modulazione di frequenza nella definizione dell’immagine. Il punto di partenza è l’immagine televisiva nell’ultima sequenza nella sua vita reale, la fine della trasmissione, il momento in cui l’immagine è ridotta a un sistema, a un tessuto di linee orizzontali pronto alla frammentazione, all’esplosione definitva. Lo shock tecnologico dell’interruzione della corrente sbocca, nell’universo spirituale ed immaginario di Pengo, nel blu, nel blu profondo di Klein, un blu che è impregnato della vibrazione dell’energia cosmica in libera circolazione nello spazio: uno spazio che diventa il vuoto, il vuoto immateriale.
Quella idea del vuoto pieno, del vuoto come serbatoio di energia cosmica implica una versione alchemica che porta Pengo molto vicino ai concetti fondamentali e significativi di Yves Klein. A livello di fondamentalismo dei concetti non si può parlare di copia, o di imitazione, o di plagio, ma si verifica solamente l’ingresso, l’inserimento di Pengo in un universo di percezione spirituale di tipo decisamente alchemico.
Credo che questo riferimento sia un’opzione basilare. Questo tipo di constatazione e di determinazione, d’altra parte a me è molto caro, nella misura in cui ho vissuto anch’io questa esperienza impegnativa, in un certo senso, totalmente irremediabile.
Si tratta di un fenomeno essenziale che corrisponde a un attimo di coscienza psicosensoriale o psicocorporea estrema.
La Geometria euclidea trovava la sua giustificazione nel rispetto tangibile del corpo umano. La posizione ideale dell’uomo è la posizione verticale, e tutta la geometria euclidea tende a protteggerla, a giustificarla. Grazie alla geometria l’uomo si sente bene in posizione eretta, con tutte le conseguenze dello statuto corporeo. Questo è un modo, evidentemente, di considerare la coscienza del corpo e la sua realtà. Le geometrie, non euclidee rispettano il corpo, però non la sua verticalità, se non in un modo un po’ più animalesco, o più spontaneo, o più diretto. Quando la geometria viene superata dalla monocromia, cioè dal vuoto energetico, allora il corpo diventa oggetto e soggetto di sublimazione. La sublimazione non implica la rottura della memoria: è solo una continuità ad un’altro livello. Esattamente come oggi la nostra epoca ci obbliga, di fronte allo sviluppo tecnologico sempre più sofisticato e raffinato, ad assumenre dei salti di visione - se così posso dire - e passare ad imprese di visione superiore attraverso gli shock corrispondenti alla potenza dei dispositivi tecnologi in uso. Dunque, siamo di fronte - a questo credo che Pengo l’abbia veramente capito d’istinto e che sia anche la motivazione della sua attività creativa - al momento in cui quel passaggio al vuoto del colore puro si propone come inizio di una via di mutazione alchemica senza fine. Elemento della mutazione sarebbe sempre lo shock tecnologico.
Yves Klein era un mistico, in un certo senso, ma anche un fanatico della scienza e della tecnologia. Certamente egli credeva in un al di là metafisico e in una “Apocatastasi” - per impiegare la parola greca - cioè nella salvezza del mondo attraverso l’alchimia, però, allo stesso tempo, questa “salute” del mondo la vedeva attraverso l’impiego molto realistico e molto sofisticato di tutti i dispositivi e di tutti i materiali tecnologici di cui l’uomo d’oggi si è dotato. Dunque alchimia e tecnologia possono procedere appaiate. Quale può essere il destino linguistico di un’opera concepita in queste prospettive alchemiche? Essa diventa una sorta di strumento di misura al limite della misura, una proporzione al limite dell’incommensurabile. E questo tipo di dotazione e di riferimento non fà che prolungare ed espandere il processo di ascesi della sublimazione. Siamo sempre sull’orlo del visibile e dell’invisibile, però con la certezza che la frontiera è illusoria, che non esiste, perchè cambia a seconda della percezione mentale e psicosensoriale dell’uomo. E la condizione psicosensoriale cambia - lo sappiamo bene - molto spesso. Quanto viviamo in questa infra-mince - come direbbe Duchamp, in una dimensione di spazio in cui il razionalismo nella geometria non ha più valore nè significato assoluti; ma dove nasce una controgeometria di compensazione che è la geometria del vuoto e del suo percorso energetico. La parola rimane all’energia e certamente è in questo senso, verso questa speranza e nel nome di questo desiderio che Pengo sta strutturando, shock dopo shock, tappa dopo tappa, la logica interna del suo linguaggio mistico-alchemico, appropiativo del grande desiderio di sublimazione attiva del mondo, di disinquinamento e di rinnovamento del pensiero e della facoltà immaginativa.



Lo spirito della materia


È proprio nell’occhio del pittore che risiede la chiave di lettura della sua pittura: lo sguardo di Renato Pengo traduce nella sua esigente acutezza le angosce di una personalità alla ricerca della propria esistenza. La pittura è per Pengo uno strumento di conoscenza molto più che un oggetto di piacere. Come dire che l’oggetto di questa pittura corrisponde al suo proprio soggetto: una senzazione di spazio fugace ed autonomo che non si manifesta se non al limite estremo di un’intuizione visiva che appare, a sua volta, come fine a se stessa.
Quando questo magico dispositivo di scatto si verifica, l’artista percepisce il brivido sacro dell’illuminazione, il soffio della trascendenza. Ma l’istante sublime è sempre troppo breve. La sua folgorante apparizione ci lascia delusi. Agli iniziati non resta che la speranza del suo ritorno. Renato Pengo è il pittore dell’attesa, il pittore del sublime, al limite del visibile e dell’invisibile. Dopo che il Blu di Klein a sfiorato il suo sguardo strabiliandolo egli percepisce il soffio dell’energia cosmica che si diffonde liberamente del vuoto. Questa energia che è alla base di tutti i linguaggi universali, come afferrarla? Fissandola nel pigmento industriale puro, il monocromo Yves Klein aveva provato che l’immemorabile tradizione alchemica poteva addattarsi assai bene ai più comuni mezzi della tecnologia moderna.
Pengo, l’apprendista alchimista, ha ben compreso la lezione. Ha presentito lo spazio virtuale della comunicazione assoluta nelle intereferenze scintillanti dello schermo televisivo: la corrente passa ma non compare alcuna immagine. Il vuoto dello schermo, saturato di impulsi elettronici è un vuoto pieno di tutta l’infinita virtualità di immagini possibili. L’artista si sforza di rendere l’impalpabile vibrazione di questa sensibile texture combinado la tecnica del puntinismo dell’”ecoline” e quella dell’emulsione fotografica. Le sagome che emergono da questa mancanza di gravità spaziale sembrano uscite da un teatro delle ombre.
Infatti sono profili senza modello, ombre uscite dal nulla, cioè dalla pienezza del vuoto: se si vuol attribuire loro una fonte di luce, bisogna cercarla nel cuore del vuoto, precisamente là dove Yves Klein dichiarava trovarsi “un fuoco che brilla”.
Queste ombre che si mostrano per svanire rappresentano l’ambito essenziale dell’artista, il costante passaggio che contraddistingue la condizione dell’attesa: la presenza dell’attesa nella presenza dell’assenza. Queste ombre tenute dal vuoto sono destinate a farvi ritorno. Sono fantasmi che annunciano l’illuminazione a venire: la loro eclissi deve nutrire la nostra attesa. Esse ci invitano a recepirle come un effetto di persistenza retinica, si presentano come ombre di ombre già scomparse. Pengo ci invita a procedere con lui sul filo del rasoio dell’essere, fra il visibile e l’invisibile. Io, personalmente, entro in questa regione che non mi è sconosciuta: quella dove il messaggio pittorico subisce una metamorfosi sublimandosi. É nella geometria del vuoto che si sviluppa l’energia immateriale che trasforma la materia organica in antimateria spirituale. L’alchimia della mutazione avviene nello spazio interstiziale delle nostre sensazioni, l’infra-mince di Marcel Duchamp, al limite dell’impalpabile, dell’impercettibile, dell’ineffabile.
Lo shock tecnologico ha messo Pengo sulla buona strada. La cancellazione dell’immagine elettronica è stata la sua mela di Newton. Il suo linguaggio mistico-alchemico si è ormai appropriato del grande desiderio di sublimazione attiva del mondo. Ogni quadro è un contributo al disegno del pensiero universale, al continua rilancio dell’intuizione fondamentale: l’energia immateriale è lo spirito della materia. Renato Pengo si è lanciato nel cuore del vuoto ed io saluto il suo volo travolgente nell’infra-mince della vibrazione cosmica.
Pierre Restany, 1996